A Harry Truman sarebbe piaciuto il neo-laureato Nobel per l'economia, Paul Krugman, perché il vecchio presidente americano si lamentava sempre che gli economisti avevano troppi lati. «Datemi un economista con un lato solo», diceva. E in Paul Krugman, forse troppo progressista per Truman, l'avrebbe comunque trovato. Teorico dei mercati mondiali, convinto che il boom asiatico sia dovuto non a migliore produttività complessiva ma a costi più bassi di produzione e di lavoro soprattutto e quindi destinato a ridimensionarsi, Krugman dichiara e scrive da quasi dieci anni che l'orizzonte è oscuro. E che l'economia del debito su cui Gorge W. Bush ha messo più di chiunque altro il proprio timbro avrebbe portato a una crisi di grandi proporzioni. Di pieno appoggio alle tesi del partito democratico, l'analisi e il posizionamento di Krugman è tuttavia in questo frangente elettorale, per Barack Obama, un'arma a doppio taglio.
Pur non avendo, come nessuno, previsto l'azzeramento delle grandi banche d'affari di Wall Street, Krugman, newyorkese di Long island, 55 anni, aveva detto che così non poteva durare. Professore di economia e scienza politica a Princeton, nel New Jersey, ha saputo essere un interprete della protesta. Ha incominciato a farlo quando Bush junior era ancora piuttosto popolare, e adesso ne raccoglie i frutti in termini di popolarità. Il Nobel, per quanto attribuito ai suoi lavori teorici sull'economia internazionale, non può ignorare che il professor Krugman è dal 2000, da quando inaugurò la rubrica bisettimanale sul New Yort Times approdo di un lungo lavoro giornalistico incominciato dieci anni prima, uno dei più battaglieri polemisti della stampa americana. Nel 2003 Lyinginponds.com, un sito che misura il livello di polemica fra i columnists, metteva Krugman al secondo posto. L'Economist documentava come gli attacchi di Krugman, che era stato un suo collaboratore, fossero tutti contro i repubblicani e molto raramente contro i democratici. Recentemente il Wall Street Journal, in un durissimo attacco alla gestione delle megafinanziarie immobiliari pubbliche Fannie Mae e Freddie Mac, indubbiamente cruciali nell'aver consentito la crescita della bolla immobiliare americana, ha attaccato anche Krugman, colpevole di averle difese. Qualche guaio è venuto in passato a Krugman anche dalle consulenze offerte nel 99 alla Enron, poi clamorosamente fallita. Ma sono cose vecchie, e Krugman ha ampiamente spiegato il proprio ruolo marginale e non compromettente.
E' stato fra i primi a indicare un anno fa la necessità per gli Stati Uniti di un «nuovo New Deal» e il Nobel che gli è stato decretato si inserisce quindi perfettamente nel clima dominante oggi negli Stati Uniti, e nel mondo, dopo la pesantissima crisi finanziaria precipitata un mese fa. Un Nobel per Obama quindi? Sì e no. Krugman era schierato per Hillary Clinton, ed è difficile che in un eventuale governo Obama possa esservi posto per lui. In un articolo del febbraio 2008 sosteneva che i sostenitori di Obama praticavano "un culto", erano intolleranti, e che la stampa non aveva analizzato sufficientemente tutte le implicazioni del personaggio Obama. L'articolo fu molto criticato, e l'intera sezione delle Lettere al giornale del New York Times venne dedicata, il 13 febbraio, alla discussione, oggetto di protesta di molti blog. Quindi, un Nobel che premia una carriera, una penna, e nelle circostanze attuali aiuta il partito democratico, non necessariamente Obama.
